Di Claudia Cantone
Premessa: questo è il terzo di una serie di articoli con i quali si propone ai lettori un’analisi della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Corruzione.
Come si è già visto nei precedenti articoli (Parte I, Parte II), la Convenzione delle Nazioni Unite contro la Corruzione (UNCAC) nasce con lo scopo di combattere la corruzione in quanto fenomeno transnazionale. Se la premessa su cui si basa, allora, è che la corruzione sia un male comune a tutti i Paesi (in misura maggiore o minore), logico corollario è prevedere dei meccanismi di cooperazione internazionale.
Il quarto capitolo (artt. 43-50) è interamente dedicato al tema in questione; come indicato nella Legislative Guide, guida interpretativa alla Convenzione: “prevenzione, investigazione, persecuzione, sanzione, recupero e restituzione di guadagni illeciti non possono essere raggiunti senza un’efficace cooperazione internazionale”. E, infatti, bisogna prendere atto che nel mondo moderno, con la globalizzazione ed il venir meno di tutte le barriere, fisiche e virtuali, è sempre più frequente che i reati assumano carattere transnazionale (per es. vengano materialmente commessi in più territori o da persone con nazionalità diverse) e risulta più facile sfuggire alla giustizia del proprio paese.
Nel presente elaborato si procederà ad un’analisi degli articoli principali di tale sezione; l’intento è comprendere la ratiosottesa alla normativa, ovvero facilitare l’assistenza reciproca tra Stati, punire i colpevoli, dovunque essi siano e perseguire i reati, a prescindere da dove vengano commessi.
L’art. 43, che apre il IV capitolo, al par. 2 risolve, a monte, l’annosa questione della “doppia incriminazione”: quando quest’ultima viene posta come condizione significa che il fatto illecito dev’essere considerato tale dall’ordinamento di entrambi i Paesi coinvolti; ma affinché sia soddisfatto tale requisito della “doppia incriminazione” si prescinde dalla collocazione giuridica del reato (che, quindi, può essere previsto in due categorie diverse nei due Stati) e dal nomen iuris che esso assume nell’ordinamento di appartenenza.
In tema di estradizione (art. 44), la Convenzione rispetta il suddetto principio e, dunque, un soggetto può essere estradato qualora il comportamento sia considerato reato da entrambigli Stati Parte; il par. 2 dell’art. 44 prevede, però, un’eccezione in base alla quale “uno Stato Parte il cui ordinamento lo consenta può concedere l’estradizione di una persona per uno qualsiasi dei reati previsti dalla presente Convenzione che non sia punibile ai sensi del proprio ordinamento interno”.
Generalmente, l’estradizione è regolata da trattati bilaterali; in tal senso il par. 4 sottolinea che gli Stati devono impegnarsi ad inserire in tali accordi i reati previsti dalla Convenzione come reati per i quali si può richiedere l’estradizione. È specificato, inoltre, che, qualora non esistano trattati di estradizioni, ma lo Stato Parte subordina l’estradizione all’esistenza di un trattato, l’UNCAC può fungere da fondamento giuridico per l’estradizione. In tale ultima ipotesi, i reati in tema di corruzione non saranno considerati reati politici.
La procedura dell’estradizione è regolata dalle leggi interne a ciascuno stato e, eventualmente, dai trattati bilaterali; la Convenzione rivolge un invito agli Stati ad accelerare le procedure, semplificare i requisiti probatori e concludere accordi bi/multi laterali per assicurare l’efficienza della procedura.
L’art. 46 è dedicato, invece, all’assistenza giudiziaria reciproca, la quale può essere richiesta in materia di ricerca prove, perquisizioni e sequestri, notificazione di documenti, scambio di informazioni e documenti. Qualora uno Stato Parte richieda assistenza giudiziaria ad un altro Stato Parte, in merito alla modalità da seguire, si applicano le disposizioni dell’UNCAC laddove gli Stati non siano tra loro vincolati da un trattato di assistenza giudiziaria reciproca; altrimenti si applicherà il trattato vincolante, a meno che gli Stati non acconsentano ad una “deroga”. Sulla base della convenzione, non è possibile negare l’assistenza opponendo il segreto bancario; mentre la richiesta può essere rigettata a) se non è formulata conformemente alle disposizioni del presente articolo, b) se reca pregiudizio alla propria sovranità, sicurezza, ordine pubblico o altri interessi fondamentali; c) se il diritto interno vieta alle autorità dello Stato Parte richiesto di eseguire le azioni richieste qualora tali reati siano oggetto di indagini, azioni penali o procedimenti giudiziari nell’ambito delle competenze di tali autorità; d) se accogliere la richiesta fosse contrario all’ordinamento giuridico relativo all’assistenza giudiziaria reciproca dello Stato Parte richiesto (par.21).
Una volta che la domanda di assistenza è stata formulata e non ci sono ragioni per respingerla, lo Stato richiesto si adopera nel modo più rapido possibile per adempiere la richiesta; Stato richiesto e Stato richiedente restano in contatto durante il periodo di assistenza giudiziaria e, dunque, lo Stato richiedente può formulare “richieste di informazioni sullo stato e sui progressi delle misure adottate”.
L’art. 46 in analisi si chiude con il par. 30 che incoraggia gli Stati firmatari, ove necessario, a concludere accordi o intese bi/multi laterali per rendere maggiormente efficaci le disposizioni in materia di assistenza giudiziaria.
A seguire una serie di disposizioni volte a disciplinare il trasferimento dei procedimenti penali (art. 47), la cooperazione tra i servizi di individuazione e repressione della criminalità (art.48), le indagini comuni (art. 49) e le tecniche investigative speciali (art.50).
[1] Convenzione della Nazioni Unite contro la Corruzione [2] Legislative guide for the implementation of the United Nations Convention Against Corruption